Alla frontiera, una frotta di assistenti di ogni etnia possibile (ma tutti con accento americano) aiutano gli sperduti ed esausti turisti a formare file ordinate e controllano i documenti, dando consigli per superare gli arcigni poliziotti senza bisogno di ulteriori controlli, dando un’interessante dimostrazione post-moderna della lotta tra popolo e ordine costituito.
Il mio penare con l’ambasciata di Londra ha avuto un senso, perche’ vengo ammesso negli mirabolanti stati uniti senza battere ciglio, forte del mio sudato visto. Agli arrivi, facce asiatiche aspettano altri asiatici, e facce centroamericane servono clienti ai bar. Come tutti gli aereoporti americani, mi lascia un vago senso di delusione: un solo bar, uno scarno ufficio informazioni e una generica fermata del bus “long distance” dove dovrebbe fermarsi anche il mio. Orari, neanche l’ombra.
C’e’ nebbiolina e una quindicina di gradi, una specie di primavera in embrione, che qui dovrebbe corrispondere al brutto tempo. Mi compro per 15dollari un panino bisunto al manzo ordinando in spagnolo al messicano e aspetto il bus.
Da un minibus scende un ometto che assomiglia a Gianfranco Zola versione indio che offre un “servizio alternativo” per Santa Barbara, e parte mezz’ora prima del bus “ufficiale”, allo stesso prezzo. Accetto: i passeggeri sono tutti messicani, a parte un americano cieco. Un mondo nel mondo. Probabilmente questo servizio in Italia sarebbe completamente abusivo, mentre qui e’ regolarissimo e funziona in un regime di sana competizione dove i piccoli trasportatori senza sito internet cercano di rubare clienti alle grandi compagnie (infatti Zola mi ripetera’ 10 volte come dovro’ contattarli se vorro’ usare il loro servizio anche al ritorno).
Il pullmino passa attraverso larghe vie alberate, autostrade giganti frequentate da macchine giganti, spiagge deserte e umide di pioggia, e posti dal nome evocativo nella cultura pop, come Malibu o Santa Monica.
Dopo un’infinita’ di km, l’autostrada costiera corre lungo una serie di alture, che mi ricordano incredibilmente il Sud Italia: macchia, palme (tra cui i palos borrachos, quelle dal tronco sottile che si barcollano come ubriachi al vento), qualche cactus, un po’ stonato nella giornata uggiosa. Motel e centri commerciali tipo autogrill ad ogni pie’ sospinto, gli stereotipi dei film sono tutti veri.
Per Santa Barbara ci vogliono quasi tre ore. Scarichiamo il cieco a San Buenaventura, tra grandi frutteti e vivai. Visto che non ho idea di dove sia il mio indirizzo, mi faccio lasciare all’aereoporto di Santa Barbara, da cui un tassista algerino molto simpatico mi porta a casa di Linda, dove abitero’ per il prossimo mese.
Un paio di considerazioni:
1) E’ facile sentirsi a casa qui, perche’ la natura e il clima ricorda l’Italia, e il melting pot estremo suggerisce che ci sia posto per tutti (almeno sulla carta).
2) Il nuovo-nuovo della costa ovest mi sembra, ad una prima impressione del finto-vecchio della costa est. Almeno qui non ci provano.
Malibu', in effetti vale la pena andarci.
ReplyDeleteE poi per simmetria prendere un aereo intercontinentale bello panciuto per andare a Cefalu'.