Sunday, February 20, 2011

La crudelta' dei quartieri residenziali


La zona in cui abito, tra Santa Barbara e Goleta, dove sta il campus della UCSB (University of California at Santa Barbara), e’ un quartiere residenziale chiamato More Mesa, dall’omonimo parco che degrada nell’oceano. Parco non e’ molto preciso, piuttosto una “zona non edificabile”, una specie di pratone selvaggio con erba alta e qualche albero, dove gli uccelli possono nidificare. La zona verde arriva fino ad una bassa scogliera di arenaria molto friabile: una serie di ripidi scalini permettono di raggiungere la spiaggia, dove ci si puo’ anestetizzare i piedi nell’acqua gelata dell’oceano pacifico e vedere uccelli dal lungo becco ricurvo.
Il quartiere di More Mesa e’ residenziale e abitato da persone benestanti: una fila di casette ad un piano, ognuna con il suo giardinetto e garage, esattamente come si vedono nei film. Le strade non sono parallele perche’ il terreno e’ collinoso, ma larghe e quasi completamente prive di traffico, la vegetazione lussureggiante e profuma di mediterraneo.
Supponiamo pero’ per un momento che un italiano approdato in California e ancora un po’ sotto l’effetto del jet lag si svegli verso le sei e mezza di mattina  e voglia fare colazione. E che si avvii alla disperata ricerca di cibo nel suddetto quartiere residenziale, magari con in tasca una cartaccia da buttare. L’italiano sopracitato trovera’: piscine di quartere in numero di una, campi da golf: uno, maneggi con cavalli amichevoli: due, uomini in tuta, ciabatte e pantaloncini che portano i cani a fare pipi’: innumerevoli, occhiate sospette da parte di vecchi verso giovani forestieri con i capelli lunghi: qualcuna. Cestini: zero. Bar: zero. Negozi: zero. Rivendite di ogni tipo: zero.
All’italiano non resta quindi che arrivare allo stradone (25 minuti a piedi), continuare sullo stradone “per un isolato”, che e’ lungo quasi un km, e arrivare ad una specie di centro commerciale, dove c’e’ un supermercato, un barbiere, una lavanderia automatica, due benzinai, una farmacia, e, udite udite, un bar, o “diner”, come lo chiamano qui.
Una volta attraversato l’immenso parcheggio, il suddetto bar e’ in realta’ molto bello: produzione propria di caffe’, grande scelta, colori vivaci, wifi gratis (ovviamente), finto camino con vero fuoco (a gas), stairway to heaven in sottofondo, atmosfera hippie, targhe e cartelli stradali appesi alle pareti, gente in muta da sub e piedi nudi evidentemente appena tornata da una mattinata di surf. Il tacito accordo anglosassone che un cappuccino da 3 dollari ti da diritto ad un tavolo per un numero indefinito di ore e’ valido anche qui, quindi mi piazzo… e lavoro. Ho una presentazione da preparare per mercoledi e non ho voglia di stare a casa. Domani, lunedi’, e’ il “president day”, una festa americana, l’universita’ sara’ chiusa ma io saro’ in ufficio.






2 comments:

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  2. Ah! Un posto così, per me che non ho l'auto nè la propensione a guidarla, sarebbe difficile viverci (oddio, si supera tutto). Non a caso ho comprato casa dove a portata di piedi ho tutti i servizi essenziali... salvo però prendere ugualmente il motorino (io) o l'auto (col mio ragazzo) per fare la spesa al discount che è più lontano ma più conveniente.
    Ma a parte questo, da come lo descrivi sembra davvero un bel posto, già me lo immagino in mente, e mi fa venire una gran voglia di pensare alle vacanze al mare. Spero di vedere presto le foto. :)

    Bea

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