Gli ultimi giorni sono stati molto intensi qui a Santa Barbara: ho fatto il mio talk mercoledi’ scorso, che e’ andato molto bene, soprattutto grazie al mio tono scanzonato e alle domande di un professore tedesco molto in gamba, che faceva la parte di Peppino nei film di Toto’. Ho parlato per un’ora e mezza, e sembra che ci siano molte persone interessate ad applicare i metodi che ho sviluppato (sto gia’ analizzando dati per un gruppo di Valencia), quindi sono contento.
Volevo pero’ tornare su una questione annosa, e iniziare a farlo citando dati oggettivi. Al KITP in questo momento sono attivi tre programmi: noi (evoluzione virale e di microbi), astrofisici alle prese con ammassi di galassie, e un terzo gruppo che studia fenomeni di turbolenza nei fluidi. Tra i 3 programmi, ho contato 5 italiani. Oltre a me, c’e’ Marco, un mio vecchio compagno di dottorato che dopo essere rientrato ed aver resistito eroicamente all’universita’ di Milano, e’ ora ricercatore a Parigi. C’e’ Luca, uno degli organizzatori del nostro programma, professore a Napoli da piu’ di 25 anni, che ha appena accettato di dirigere un prestigioso istituto di ricerca a Parigi perche’ “non ne puo’ piu’ dell’Italia e non so che futuro dare ai miei dottorandi e laureandi”. Suppongo che li spedisca all’estero utilizzando la sua chiara fama internazionale (e’ uno che viaggia tantissimo) e i suoi numerosi contatti. C’e’ Salvatore, che sta a Roma. E c’e’ Paolo, da 10 anni a Helsinki. Totale: estero batte Italia 4 a 1.
C’e’ di piu’: 5 partecipanti su piu’ di 100 non sono molti (i tedeschi o i francesi ci superano). Si potrebbe pensare che gli italiani che lavorano in Italia non siano interessati a partecipare ad un programma di ricerca ambito, perfetto per instaurare collaborazioni e praticamente gratuito, in un istituto diretto da un premio nobel. Oppure che queste tre direzioni di ricerca non siano particolarmente sviluppate in Italia (non ho dati in proposito, anche se so che in biofisica siamo molto indietro). Sta di fatto che lo spaccato della ricerca italiana che si vede da Santa Barbara e’ desolante, e basta sedersi a tavola per ascoltare una sequela di storie dell’orrore che sembrano fatte per spaventare i bambini: giovani brillanti che dopo essere stati ripetutamente bocciati a Caserta vengono coperti d’oro in Danimarca, altri che cercano di rientrare e scappano dopo pochi anni, anche accettando di fare un passo indietro nella carriera, perche’ spaventati dall’immobilismo dell’accademia italiana.
Non racconto niente di nuovo, ma mi sembra che l’emorragia di cervelli (e vi assicuro che la gente che ho incontrato qui e’ veramente in gamba) stia raggiungendo livelli da allarme rosso (in Francia il 30% dei ricercatori e’ italiano). Queste persone emigrano, contribuiscono alla crescita delle nazioni che investono su di loro, si portano nel cuore l’Italia e, suppongo, anche molto livore. Come dice Riccardo Giacconi, premio nobel per la fisica nel 2002 (carriera in america, paese dove si e’ naturalizzato), da noi “i giovani Michelangelo non hanno muri per dipingere e roccia per scolpire”. E cosi’ i talenti si sprecano.
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