Prima del ritorno a Los Angeles c’e’ ancora la tappa alla valle della morte, un grandissimo parco naturale dal nome spettrale, a un centinaio di miglia da Las Vegas: non e’ lontana dai parchi desertici con cui ho iniziato il viaggio, creando un rassicurante senso di gita ad anello, con ritorno a casa.
A differenza di Joshua tree o del deserto Mojave, la valle della morte e’, appunto, una valle. Ampia, circondata da due catene di montagne alte fino a tremila metri, si estende per quasi 200 km e scende al di sotto del livello del mare, creando la depressione piu’ profonda degli stati uniti. Il nome deriva da una vecchia Il panorama e’ lunare e affascinante: pochi cespugli verdi spuntano ai bordi della strada, per lasciare il posto a formazioni rocciose con sabbie di colori diversi, che sembrano disegnare la tavolozza di un pittore, i contrasti sono impressionanti.
Al centro della valle c’e’ uno spartanissimo campeggio, giusto a fianco di una striscia di palme allungate intorno ad un ruscello (chiamato, molto appropriatamente, “fornace”). Siamo infatti in uno dei posti piu’ caldi del mondo, dove le temperature superano i 45 gradi per molti mesi all’anno: il primo aprile ce ne sono 36 (un po’ sopra la media), ma piacevoli, senza un filo di umidita’. Basta stare all’aria aperta per sentirsi la pelle e le labbra seccare, bisogna bere in continuazione, come ripetono i soliti cartelli terroristici e le numerose fontane a disposizione dei turisti.
Come mai fa cosi’ caldo, rispetto agli altri deserti che ho visitato (e dove ha nevicato)? L’altezza ha un certo ruolo: Joshua Tree era sopra i mille metri, mentre qui siamo al livello del mare; la valle chiusa crea poi una conca che concentra il calore in maniera micidiale.
Eppure, questo posto e’ stato abitato, seppur brevemente, da numerosi cercatori d’oro, insieme ad una fiorente attivita’ di estrazione di sali che venivano lentamente trainati nel mondo civile da carretti e muli. In fondo alla depressione si puo’ camminare su una distesa infinita e anche un po’ spettrale di sale biancastro (mischiato ad altri composti chimici), che nella luce del tramonto ricorda un po’ quelle immagini dell’aldila’, con le ombre che si confondono nella luminosita’ diffusa.
Le attivita’ minerarie sono cessate da tempo, e si trovano un po’ ovunque citta’ fantasma dove abitavano i minatori: diroccate, spettrali e molto ben descritte da pannelli illustrativi, sembra impossibile che migliaia di persone abitassero in questo forno lunare. D’altro canto, il parco e’ gigantesco, e servono diverse ore in macchina per percorrerlo tutto. Alcuni posti richiamano memorie cinematografiche e suggeriscono pellegrinaggi laici, come il bellissimo Zabriskie Point o il belvedere Dante’s View, 1500m sopra la valle. Quasi tutte le passeggiate risalgono canyon, a volte con qualche arrampicata avventurosa, seguendo il corso dell’acqua (che e’ presente probabilmente 10 giorni all’anno); altre, salgono su alti picchi, che ho tralasciato per evitare il mal di montagna da 3000m di dislivello. Ho dovuto saltare anche la visita ad un castello costruito nel mezzo della valle per evitare altri 150km di strada, peccato perche’ mi sarebbe piaciuto molto confrontarlo con l’Hearst Castle. In compenso, trovo per caso una mostra all’aria aperto di opere di un artista belga, illustrate da un gentilissimo vecchio signore con tanto di barba bianca, salopette jeans, camicia a quadrettoni e cappello di paglia, che sembra uscito da un film.
La valle della morte e’ un posto metafisico, in cui mi piacerebbe tornare con una jeep, visto che ci sono tantissime strade sterrate che corrono per centinaia di km e rivelano altre viste, camminate e citta’ fantasma nascoste alle masse. E due osservazioni su me stesso, che mi ero un po’ dimenticato stando in Scozia, ma che prepotentemente sono uscite fuori in questo ambiente: 1) Mi piacciono i deserti, anche piu’ delle foreste 2) Mi piace il caldo secco, che mi disturba molto meno del freddo e dell’umidita’.
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