Thursday, April 14, 2011

Wicca


Apparentemente, ci sono zone della terra piu’ vicine alla cielo di altre. Non intendo fisicamente, non c’entra la quota, anche se alcune montagne rientrano nella categoria che ho in mente. Sto parlando piuttosto della presenza di una Natura, della sensazione metafisica che si prova quando si e’ sopraffatti dall’ambiente circostante, ci si sente piccoli piccoli, e si inizia a riflettere. Posti come l’Himalaya, i deserti, dove si rifugiavano gli asceti dei tempi passati, le isole fuori dalle rotte principali, ma anche le cime di monti, meglio se offrono uno stupendo panorama, infatti scelte puntualmente da vari monaci e anacoreti per fondare i loro conventi.
Posti isolati che ispirano sentimenti assoluti che, uniti alla mancanza di contatto umano, possono generare misticismo e follia (due facce della stessa mediaglia), producendo figure di grande saggezza, profondita’, e lontananza con la realta’.
La zona dei nativi Navajo, i deserti dell’Arizona e della California fanno parte della categoria, e i loro abitanti originari non sono immuni dal loro potere. Robusto e’ il filo che lega gli indiani alle forze elementali e naturali, sacralizzandole in una maniera sottile, attraverso rispetto e conservazione piuttosto che sacrifici cruenti, precedendo cosi’ di qualche millennio la consapevolezza ecologica che solo la distruzione del nostro pianeta ha fatto emergere nell’umanita’.
Nei miei giri ho ascoltato giovani indiane parlare di risparmiare i colibri’ perche’ non danno da mangiare e sono belli a vedersi (=sacri) e ho visto una rabdomante che recitava formule magiche (e si ingozzava con le mani) in un bar. Altri nativi mi hanno spiegato il senso (molto poetico) dei graffiti che si trovano sulle rocce: il piu’ bello e’ la mano tracciata con 4 segni a raggera (le dita) e una spirale che disegna il palmo e termina nel pollice, a significare che la vita, tortuosamente, ci fa diventare grandi e poi finisce.
Riflettevo che le grandi “civilita’ ”, dai romani, egizi, persiani in poi, hanno sempre cercato di domare ed asservire ai loro bisogni una natura preponderante e spesso ostile o pericolosa: il progresso era costituito dalla costruzione di una strada, di un ponte, dalla fondazione di una comunita’ urbana, dalla coltivazione di un campo, tutti atti protesi all’affermare la presenza umana, a scapito di risorse natural considerate infinite. Questi popoli nomadi, che a stento conoscevano la scrittura o l’agricoltura, erano pero’ riusciti a sopravvivere, probabilmente con meno confort e in numeri minori dei popoli cosiddetti civilizzati, ma in armonia con l’ambiente circostante. Nel XXI secolo, il loro messaggio, ora divenuto moderno, non e’ mai cambiato: la terra ci e’ data in affido e non deve essere sfruttata oltre misura.

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