La zona a piu’ alta densita’ archeologica degli stati uniti (forse l’unica in nordamerica) e’ chiamata “four corners”, perche’ si sviluppa in quattro stati (Arizona, New Mexico, Utah e Colorado), e in particolare intorno al punto, unico nel suo genere in cui si toccano tutti, come quattro piastrelle quadrate messe vicine.
Nel selvaggio west, i confini tra gli stati americani sono spesso tracciati con il righello, invece di seguire confini naturali come montagne o fiumi. Eppure, in questa zona ancora piu’ vuota del resto del paese, i quattro stati hanno caratteristiche singolari, che variano improvvisamente appena passato un rettilineo confine. L’Arizona e’ desertica e offre spazi infiniti, con cieli che ti circondano e ti fanno sembrare piccolissimo, in Utah le rocce e la terra diventano subito di un rosso abbacinante, da sembrare finte, il Colorado e’ tutto montagne a punta e campi coltivati sulle colline, la vegetazione ritorna temperata e sembra un po’ casa; il New Mexico ha pozzi di petrolio, squallidissime citta’-raffineria e altopiani chiamati mesas dove l’erba cresce giallastra e rada. Tutti e quattro hanno una quantita’ infinita di tumbleweed (i cespugli che rotolano), tanto che le autostrade sono protette da reti di metallo su cui si incagliano ostinate foreste di erbacce; ogni tanto una riesce a scavalcare e attraversa allegramente la strada, sperando di essere centrata da una macchina e cosi’ spargere i propri semi.
In queste lande aride e piuttosto desolate circa 800 anni fa la civilta’ dei pueblos ha raggiunto il suo apice ed ha lasciato le uniche tracce archeologiche di tutto il nord america (gli indiani non hanno mai sviluppato una civilizzazione come la intendiamo noi, e i Maya e gli Inca stanno un bel po’ piu’ a sud). Mi sono fatto parecchie centinaia di km, strade sterrate e notti forzate in campeggio per esplorare le rovine lontano dalle (moderate, in questa stagione) folle di turiste che scorrazzano per i parchi naturali. Inaspettato.
Tutta una rete di villaggi che coltivavano la terra, costruivano case nei canyon per proteggersi, e scarabocchiavano graffiti sulle pareti rocciose, elevandosi cosi’ un mezzo gradino sopra la pura sopravvivenza. Certo, fa tenerezza vedere questi nativi che, quando Dante scriveva la Commedia, sono riusciti finalmente a costruire case in muratura. Ma le posizioni compensano: a volte si trovano in spettacolari crepe nella pareti di un canyon a strapiombo, e chissa’ come ci arrivavano li’ senza ammazzarsi. La religione era comune, e diversa da quella degli indiani: grosse “chiese” sotterranee e circolari, chiamate kivas, venivano costruite con grande cura, e vi si celebravano funzioni religiose.
Molte di queste zone archeologiche sono parchi naturali minori, ed offrono camminate in paesaggi spesso spettacolari, su e giu’ dalle mesas e attraverso le rovine. Densita’ di turisti quasi nulla, i pochi che sono in giro in questa stagione sono al Grand Canyon o ai parchi famosi. Stranamente, cerso il 1400, queste popolazioni hanno abbandonato i loro villaggi per migrare piu’ a sud, e mi sembra che nessuno ne abbia ancora capito bene il perche’.
Rifletto che questa cultura, cosi’ come quella degli indiani, e’ presente sul continente americano da molto piu’ tempo di quella degli immigrati europei e poi asiatici o degli schiavi africani, anche se con popolazioni poco numerose. Gli americani sembrano solo marginalmente interessati a questo (tutto sommato piuttosto modesto) patrimonio culturale, non mi sembra che ci si riconoscano molto. Certo, finanziano gli scavi, ma l’identita’ dell’americano moderno risiede altrove. E’ come se il flusso di gente nuova dall’europa abbia creato un sistema di valori nuovo, di cui andare fieri e a cui integrarsi, grassamente ignorando chi stava qui prima, che si e’ trovato praticamente straniero in casa propria.
No comments:
Post a Comment