Sunday, March 27, 2011

Deserti


Los Angeles e’ un deserto di cemento, piu’ di una decina di milioni di abitanti sparsi su un’area enorme, con le loro villette, le palme, le spiagge, i quartieri per ricchi come Beverly Hills, le malfamatissime periferie per neri, e Hollywood con gli studios e le star.
Per il momento, la mia macchinina super-economy (una specie di punto, o di clio, che decisamente sfigura di fronte ai transatlantici americani, ma mi da’ un’aria molto europea ed ecologica) mi porta per miglia e miglia dalla costa verso l’interno, attraversando almeno 50 (cinquanta!) km di citta’ ininterrotta, con autostrade a 5 corsie spesso intasate di traffico, tangenziali su tre o quattro livelli che danno la stressante impressione di essere su un ottovolante, o parte di un videogioco dove tutti corrono in tutte le direzioni e a tutte le altezze.
Gradualmente, il panorama diventa piu’ secco: le palme lasciano il campo agli eucalipti e alle querce, poi alla macchia mediterranea, poi a vegetazione ancora piu’ sparsa, fino a quando un iconico cartello stradale segnala “Indio and other desert cities”, posti ormai lontani dalla civilta’ (siamo solo a 150km da Los Angeles pero’!) che non meritano neanche un nome. La mia prima destinazione di questo road trip nel selvaggio west sono i deserti, e in particolare due parchi naturali, con due tipi di vegetazioni molto diverse.
Il cielo e’ limpido, ma ci sono nuvole, la sera piove (nel deserto!) e fa freddo, siamo intorno ai 1000m di altezza. A volte pianto la mia tendina nei campeggi dei parchi naturali, quando fa troppo freddo prendo una stanza nei motel nelle cittadine intorno alla zona protetta, come l’iconica Yucca Valley, una striscia di case lunga una decina di km, qualche supermercato, molti fast-food, pompe di benzina e un caffe’ molto alternativo. Il panorama e’ quello che ci si aspetta nelle zone aride: pochi alberi, molte spettacolari formazioni rocciose granitiche, cespugli bassi e polverosi, e la commozione di vedere una tumbleweed (“l’erba che rotola”, quelle specie di covoni che si vedono spinti dal vento nei film western) attraversarmi la strada.
Tra gli alberi spicca il Joshua Tree, l’albero di Giosue’, una specie di palma (anche se botanicamente appartiene ad un’altra famiglia), bassa, con dei ciuffi di foglie aguzze verso la cima dei rami tozzi, un tronco peloso e una forma vagamente spettrale. In alcune zone formano dei veri e propri “boschi” con un albero ogni dieci metri. Vennero chiamati cosi’ dai pionieri in segno beneaugurante (Giosue’ e’ il profeta che porta gli ebrei nella terra promessa dopo l’Egitto). Frotte di rocciatori arrampicano sui grossi blocchi di granito.
Ci sono due tipi di deserto da queste parti: quello di tipo “Mojave” ha i joshua trees, si trova tra 1000 e 1500 metri, e’ roccioso e molto freddo (d’inverno la temperatura puo’ scendere piu’ di 10 gradi sotto lo zero, e quando ci sono io c’e’ un vento gelido che leva la pelle). L’altro deserto e’ di tipo “Colorado”o “Sonora” e si estende a sud fino al Messico, e’ piu’ caldo, a quota piu’ bassa e una vegetazione fatta per la maggior parte di cactus e piante grasse di ogni specie e forma, ben arrangiate dai gestori del parco che hanno creato percorsi floreali.
Anche la fauna e’ interessante: molti topolini teneri cercano di farsi mettere sotto dalla mia macchina, ci sono specie di marmotte magre che stanno sull’attenti ai lati della strada, conigli con orecchie molto dritte, e anche coyote, poco piu’ grossi di volpi. Apprendo con emozione che gli uccelli di corrono, quelli che Wil Coyote cerca disperatamente di catturare esistono veramente! I roadrunner sono piccoli uccelli con lunghe zampe che corrono come forsennati per sfuggire ai predatori, proprio come nei cartoni. Anche il paesaggio e’ molto simile. Purtroppo non ne vedo nessuno.
In questa specie di paese delle meraviglie si puo’ vedere di tutto, spesso direttamente dalla macchina o con brevi passeggiate non impegnative: colate di lava nere su cui crescono cactus ciccioni a barile e sbocciano minuscoli fiorellini gialli, dune di sabbia da salire a piedi e scendere a rotta di collo, laghi salati prosciugati che lasciano distese bianche a perdita d’occhio, una localita’ termale chiamata Zzxzy (pronuncia zizex) per essere sempre l’ultima sulle guide, la faglia di Sant’Andrea, giu’ al livello del mare da un punto di osservazione a 1500m, montagne alte di cenere indurita che sembrano vulcani spenti, stazioni ferroviarie nel nulla, e, udite udite, uno strato di neve che copre i cactus nelle zone piu’ alte. Volete mettere che bello?















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