Friday, March 11, 2011

La visione di Igor'


(e lasciatemi essere pedante e scrivere questo nome con l’accento finale che trascrive il segno debole russo). Igor’ e’ un professore russo dell’universita’ di Boston, in America da 20 anni. Magro, aspetto roccioso, colorito itterico, naso alla Dante, sembra un muzhik approdato per caso nell’accademia, la zappa appena posata.
Invece, come spesso avviene ai russi educati sotto l’unione sovietica, dietro l’aspetto sbrindellato si nasconde una vasta cultura e un finissimo acume. Mi piacciono i russi (o meglio, i sovietici). Ci si puo’ discutere di poesia, arte, architettura e altre scienze umane che i loro colleghi americani o inglesi, in media, grassamente ignorano. Risultati di due sistemi educativi molto diversi: quello anglosassone, che mira a dare a tutti un livello minimo di istruzione, privilegia la creativita’, lo sport e l’approfondimento in poche materie; e quello all’italiana, dove a scuola si studia una quantita’ immensa di “cultura generale” (nel nostro paese, ahime’, al 90% umanistica), a scapito dell’iniziativa individuale e dell’educazione fisica.
Di solito, mi fido di solito di quello che dicono i russi: aggiungono ad una grande capacita’ percettiva una sottile ironia, e spesso riescono a cogliere l’essenza di un problema con un’immagine penetrante. Igor’ commentava su un aspetto della societa’ americana: gli hobby, le attivita’ del tempo libero. Per noi sono passatempi, cose che si fanno per distrarsi o per imparare qualcosa di nuovo, siano essi uno sport, un corso di yoga o la sperimentazione in cucina. Per gli americani no. C’e’ in loro un innato desiderio di competizione, che spinge a trattare un hobby come una sfida, dove cercare di primeggiare. Perfezionarsi, spesso a costo di faticosi e frustranti esercizi, porsi obiettivi da raggiungere e partecipare ad una gara per misurarsi con gli altri, anche per un corso di taglio e cucito. Questo e’ il concetto di svago yankee style. Mi viene in mente un antipatico collega canadese che non correva una maratona se non era sicuro di poter migliorare il suo record.
Questa caratteristica mi sembra piuttosto smorzata qui nella west coast, dove la gente e’ piu’ rilassata e tende a vivere meno di corsa, ma rimane la distanza ontologica con il nostro godere delle piccole cose senza ricercare ossessivamente il miglioramento o la competizione. E badate bene, questo atteggiamento non ha niente a che fare con la simpatia e la sportivita’: spesso gli americani sono i primi a complimentarsi con chi li ha battuti, e altrettanto spesso sono ottime compagnie al bar (specialmente sullo sfondo del tedesco o dell’olandese medio). Semplicemente, non sono bravi a stare fermi e a oziare. D’altronde, forse la caratteristica principale di questo paese ad altissima mobilita’ sociale e’ l’investire sullo spirito d’iniziativa e le idee di un individuo, quasi sempre a prescindere da come e’ vestito o dalle conoscenze che ha (e poi lasciare a piedi chi non ce la fa, ma questa e’ un’altra storia). In ogni caso, e’ istruttivo il confronto con l’Italia dove, spesso ma non sempre, ci si muove tra raccomandazioni, privilegi non meritati e immobilita’ sociale (chi nasce ricco muore ricco e di chi nasce povero muore povero, e sfido a trovare 3 persone che violino questa regola tra i vostri amici), e in declino, purtroppo.

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