Friday, March 18, 2011

Forme moderne di monachesimo


Ultimo intervento sul filone “vita da scienziati”: discutendo con altri colleghi, abbiamo concordato che “la ricerca” (o “la scienza”, sempre immaginata come una specie di realta’ superiore a cui conformarsi) piu’ che un lavoro e’ una filosofia di vita. Cerco di spiegarmi.
Supponiamo di avere un negozio, o di lavorare in posta. Spesso puo’ essere fastidioso svegliarsi presto tutti i giorni, avere a che fare con colleghi o clienti molesti, o essere impegnati in compiti noiosi e ripetitivi. Alle cinque, o alle sette e mezza, pero’, la saracinesca si abbassa, l’ufficio si chiude, e ci si dedica alla propria vita privata, la famiglia, gli interessi, gli hobby, il relax.
Superficialmente, la ricerca puo’ sembrare una specie di paradiso: si puo’ andare al lavoro praticamente quando si vuole, si visitano un sacco di posti interessanti, e sicuramente non si fa alcuna fatica fisica. Molto spesso e’ difficile spiegare cosa facciamo, quasi impossibile vederne l’utilita’ pratica. Ergo: possiamo tenerci impegnati per una vita raccontandoci cose incomprensibili tra di noi, tra un mese in California e una conferenza a Parigi.
La grossa differenza, che in parte condividiamo con chiunque abbia un lavoro “a progetto”, e’ che, appunto, veniamo valutati soprattutto su quanto riusciamo a risolvere problemi in maniera creativa. Quanto tempo ci vuole? Impossibile a dirsi. Spesso si e’ impantanati per mesi prima di riuscire ad trovare una soluzione. In questi mesi veniamo si’ pagati con soldi pubblici, ma quasi sempre ci portiamo dentro il nostro problema, le nostre frustrazioni e i nostri dubbi, per ogni momento della nostra vita privata. “Staccare” richiede una fortissima autodisciplina che pochissimi hanno. Il tutto forse nasce da alcune peculiarita’ della ricerca scientifica, e cioe’ che 1) si ha a che fare con problemi complicati di cui nessuno sa la risposta (anche noi, nel 90% dei casi, non ci capiamo quasi niente) 2) lo si fa per passione e non per ritorno economico. E’ per questo che gli scienziati corrono il rischio di diventare persone noiosissime, appiattite sulla dimensione lavorativa da cui non si staccano mai, sempre pronti ad esercitare la loro capacita’ critica (da cui la bassissima percentuale di scienziati credenti, ben sotto al 10%) e il metodo scientifico nei problemi di ogni giorno (da cui l’etichetta di “geek” o “nerd” che mal si traduce in “secchione”, ma rappresenta piu’ un modo di pensare che non le ore passate sui libri). E non si diventa neanche ricchi.
Anche sui viaggi di lavoro ci sarebbe da dire. Io sono un po’ un’eccezione perche’ mi piace visitare posti nuovi e cerco sempre di associare un po’ di turismo alle trasferte, ma la maggior parte dei casi ci si riduce a fare viaggi lunghissimi (perche’ ci sono solo 5 gruppi al mondo che sono competenti nel tuo microsettore, e se sei fortunato ce n’e’ un altro nel tuo continente), per soggiorni brevi, spesso in posti senza alcuna attrattiva. Certo, e’ bello conoscere gente del posto che ti introduce ad un nuovo paese e te lo spiega acutamente, molto meglio che fare i turisti. Ma l’altra faccia della medaglia e’ che quando si va in vacanza spesso si pensa “oh c’e’ questo gruppo che lavora qui vicino, magari passo a fare un talk”, e voila’, la vacanza non e’ piu’ vacanza. Le conferenze, d’altro canto, possono facilmente diventare campi di concentramento scientifici (interessantissimi!) dove si vede il sole una mezz’oretta al giorno e si discute fino a tarda sera.
Nella mia esperienza, queste peregrinazioni scientifiche (o “networking”) sono fondamentali per la riuscita di un programma scientifico, perche’ anche gli scienziati sono uomini, e lavorano meglio se ti conoscono di persona, e soprattutto se gli stai simpatico (e gli italiani, qui, sono bravissimi). Ma questo stile di vita itinerante, questo traslocare in un diverso paese ogni pochi anni, pone un vincolo formidabile sulla vita sociale: non a caso, la scienza favorisce l’incesto, o meglio le coppie di scienziati. Forse perche’ solo un altro scienziato puo’ capire perche’ si accetti un tale stile di vita, senza neanche fare i soldi, o forse perche’ gli unici contatti sociali che abbiamo sono con altri scienziati.
Chiudo con un’osservazione sul posizionamento dei campus universitari scientifici, soprattutto in Europa, che quasi sempre si trovano nelle periferie estreme di grosse citta’, lontani da ogni attrazione e, spesso, da ogni forma di ristorazione diversa da una mensa orribile (c’e’ da dire che le universita’ americane funzionano con i “campus”, piccole citta’ nelle citta’, quasi autosufficienti e spesso molto piacevoli e verdi). Capisco che alcuni laboratori maneggino materiali pericolosi e debbano essere posti a distanza di sicurezza, e capisco anche che ai margini della citta’ si possano costruire edifici piu’ grandi e ad un costo molto minore. Ma, ancora una volta, i compromessi nel proprio stile di vita mi confermano che la scienza e’ una forma di monachesimo moderno, una vocazione a cui ci si arrende e solo con grandi rimpianti si abbandona.

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