Saturday, March 19, 2011

Tempo di bilanci


E’ gia’ arrivata l’ora di partire da Santa Barbara. Ieri, venerdi’ pomeriggio, con efficienza e spietatezza americana, il mio nome sulla porta dell’ufficio e’ stato cambiato con quello del prossimo ospite, la mia cassetta delle lettere e’ sparita, e sono stato sollecitato a restituire chiavi e a scrivere un breve report sulle mie attivita’ scientifiche dell’ultimo mese. Con un velo di tristezza ho mangiato per l’ultima volta sotto gli eucalipti sulla scogliera sopra la spiaggia dell’universita’, e ho fatto il giro dei saluti.
Tempo di bilanci, dunque. Un’esperienza positiva sotto tutti gli aspetti. Pesante, intensa, questo campo di concentramento scientifico ci lascia molto stanchi e abbiamo tutti voglia di tornare a casa, ma, chi piu’ chi meno, abbiamo portato a casa qualcosa, se non altro il tiepido inverno californiano. Le settimane piu’ proficue per me sono state le prime, dove c’erano esperti nel mio microsettore, e dove sono riuscito ad iniziare nuove collaborazioni. Nella seconda parte gli interventi erano meno rilevanti, ho imparato cose nuove, ma non direttamente utilizzabili nel mio lavoro. In generale, l’arma vincente era l’atmosfera conviviale e piena di energia, dove tutti facevano domande e le discussioni nascevano spontanee. Il tutto agevolato da una struttura organizzativa impeccabile, un luogo quantomai ameno e un munifico stipendio extra. 
Il blog non chiude qui: oltre ad avere diverse cose di cui voglio ancora scrivere, saro’ in America ancora per un po’. Due settimane a zonzo per i deserti del sudovest (la natura e’ spettacolare qui, e i parchi di montagna sono sepolti dalla neve, quindi me ne vado dove in estate ci sono 50 gradi e ora solo 25), e qualche giorno all’Universita’ di Los Angeles dove mi hanno invitato per un talk. Mi sto quasi giocando le vacanze estive ma voglio cogliere l’occasione e visitare il piu’ possibile.
Chiudo con la bellissima osservazione di Renzo Piano alla trasmissione vieni via con me, qualche mese fa: “I giovani devono partire, per curiosita’, non per disperazione. E poi devono tornare. Devono partire per capire cos’e’ il resto del mondo, ma anche per capire se’ stessi. Perche’ c’e’ un’italianita’ particolare: noi siamo come nani sulle spalle di giganti, dove il gigante e’ una cultura antica che ci ha regalato una straordinaria, invisibile capacita’ di cogliere la complessita’ delle cose, articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza insieme. E’ un capitale enorme. E per questa italianita’ c’e’ sempre un posto a tavola, in ogni angolo del mondo”.
Peccato che tornare sia quasi impossibile.

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